Passare alcuni mesi in
Perù per due anni di seguito ha significato per me tante cose: una
necessità legata ai miei studi, la scoperta di un continente che
desideravo conoscere da anni, una sofferenza nel lasciare la gente
con cui vivo giorno per giorno, una stupenda esperienza per visitare
luoghi a 10mila chilometri di distanza da casa.
Per il momento voglio
tralasciare la prima parte del viaggio (durata circa un mese e mezzo)
per concentrarmi sull'ultima settimana, nella quale ho messo in stand
by i miei impegni di ricerca e ho deciso di regalarmi una settimana
da turista. Non che mi piaccia fare il turista, però ogni tanto ci
vuole!
La meta della mia
vacanzina sono state le Ande, più precisamente la provincia di
Cusco, nel sud del Paese. Partendo da Lima, la maggior parte dei
visitatori che si reca in questa zona utilizza l'aereo: esistono tre
compagnie che effettuano giornalmente la tratta Lima-Cusco per la
somma di circa 100 dollari (solo andata). Io non potevo permettermi
una cifra del genere e ho optato per raggiungere la mia meta via
terra, con un autobus della compagnia MovilTours, una delle più
comode, che per 105 soles (l'equivalente di circa 30 euro) mi ha
scarrozzato sulle strade peruviane per circa 23 ore. Un viaggetto
niente male, la cui prima parte è in realtà abbastanza noiosa,
visto che percorre per circa 400 km l'autostrada Panamericana Sur,
fino alla città di Nazca, attraversando un paesaggio semidesertico
di scarso interesse. Una volta superata Nazca (famosa per le sue
“linee”, che mi riservo di ammirare in un prossimo viaggio), ci
si dirige verso est, iniziando lentamente l'ascesa verso le Ande. Qui
il paesaggio cambia completamente e il viaggio si fa più
interessante, se non altro perché sei costretto a tenere tutti i
sensi allerta nella speranza che l'autista imbocchi bene le curve
infinite. Tutto ciò finché non ti assale il sonno. Dopo quasi un
giorno e una notte interi di viaggio sono arrivato a destinazione:
Cusco, l'antica capitale dell'impero incaico, il cui nome originale è
Qosqo, adattato poi al castigliano assumendo il nome di Cuzco, o
Cusco.
Qosqo significa “centro”,
“ombelico”, e in effetti la capitale era il centro da cui
partivano le quattro parti dell'impero inca, il Tawantinsuyo,
l'impero delle quattro parti (Tawa= 4; suyo=parte). Io ci sono
arrivato intorno alle due del pomeriggio (mi sarebbe piaciuto
arrivare al buio per poter ripetere la famosa frase pronunciata da
Ernesto nel romanzo “Los ríos profundos” di Arguedas: “Entramos
al Cuzco de noche...”) e dopo una brevissima passeggiata nella
Plaza de Armas ho deciso di abbandonare subito la città, nonostante
gli interessantissimi particolari che già a un primo rapido sguardo
ti catturano, per dirigermi verso le
rovine della cittadella inca di Machu Picchu. Mi sono dunque
riservato la meta più famosa all'inizio.
Per arrivare a Machu Picchu le opzioni sono fondamentalmente due: prendere un treno da Cusco fino a Aguas Calientes (anche chiamato il “paesino di Machu Picchu”) spendendo circa 150 dollari (a/r col treno più economico); oppure risparmiare un pochino e arrivare alla stazione intermedia di Ollantaytambo con un taxi collettivo (10 soles, ossia meno di 3 euro e mezzo) e da lì prendere il treno, che per i non-peruviani costa (a/r) 96 dollari...una bella cifra, ma che vale la pena spendere. Fondamentale è, però, comprare in anticipo i biglietti, per non rischiare di non trovare spazio sul treno, che viaggia sempre al completo, vista la quantità di visitatori che ogni giorno transitano sulla linea. Importante è anche comprare in anticipo il biglietto di ingresso al sito archeologico, che si può acquistare on-line dal sito http://www.machupicchu.gob.pe/ (l'ingresso alla sola cittadella costa 128 soles), dato che al giorno possono entrare “solo” duemila persone.
Una delle cose che non ho
gradito del mio percorso fino a Aguas Calientes è che il treno,
sebbene abbastanza di lusso per gli standard peruviani, è una sorta
di treno dell'Apartheid: infatti ha delle carrozze riservate per gli
stranieri ben separate da quelle per i peruviani. Una cosa che ho
dovuto accettare mio malgrado, e che mi ha costretto a separarmi, per
le quasi due ore di viaggio, dalle persone conosciute durante
l'attesa alla stazione. Arrivato ad Aguas Calientes mi sono però
riunito a loro, un signore sulla quarantina e suo figlio adolescente,
con i quali ho cercato un albergo nel quale passare la notte. In
realtà non abbiamo neanche dovuto cercare, perché Aguas Calientes,
che un tempo era una sorta di paesino del Far West che si sviluppava
tutto intorno alla ferrovia, è ora il massimo del turismo: pieno di
hotel di ogni categoria a un metro l'uno dall'altro, di ristoranti,
bettole e bar. Inoltre, all'arrivo del treno, la stazione è invasa
dai gestori degli hotel, quindi prima di uscire hai già trovato ciò
che fa per te. Aguas Calientes, in
realtà, ha questo nome per via delle
acque termali che vi sgorgano e ci sono alcuni centri nei quali è
possibile stare a mollo fino a tarda notte.
Dopo aver passato la
notte condividendo una stanza con i miei due nuovi amici, ho deciso
di svegliarmi prestissimo (alle cinque del mattino) per poter essere
fra i primi ad entrare alla cittadella inca, che si trova in cima
alle montagne circostanti e che si può raggiungere a piedi, con una
salita che si percorre in poco più di un'ora, oppure con un comodo
(ma caro) autobus che ti porta fino in cima. Io per tener fede a due
dei miei difetti principali, la pigrizia e la taccagneria, ho deciso
di salire in autobus e scendere a piedi. Occhio però: se volete fare
sia l'andata che il ritorno in autobus dovrete comprare entrambi i
biglietti ad Aguas Calientes, perché a Machu Picchu non c'è
biglietteria.
Arrivato in cima intorno
alle 6 del mattino sono stato accolto da una immensa nube bianca che
nascondeva alla vista il famoso panorama. Ammetto che la cosa mi ha
un po' deluso e che avrei voluto vedere sorgere il sole dalle
montagne, ma le condizioni atmosferiche erano quelle che erano.
In realtà, dopo, più
passavano le ore più capivo che la presenza delle nuvole rendeva
ancora più magici e suggestivi i luoghi, dando loro un alone mistico
e misterioso e permettendomi di scoprire poco a poco le varie parti
della cittadella.
Nonostante avessi con me
una guida (non la mainstream Lonely – che peraltro è piuttosto ben
fatta- , né la Rough Guide, ma una vecchia guida pubblicata in
Spagna a metà anni '90), ho deciso di affidarmi alla spiegazione di
una guida del posto, soprattutto per solidarietà nei confronti di
colleghi dell'altra parte del mondo. Il servizio delle guide costa
fra i 15 e i 30 soles a testa e normalmente vengono formati dei
gruppi di 4-5 persone. La spiegazione della guida è stata molto
interessante, e direi che è quasi necessaria,
a meno che non si sia degli esperti in storia e archeologia
precolombiana. È durata circa due ore, dopo le quali ho avuto tutto
il tempo per girovagare fra le rovine in tutti i loro meandri,
scattare le classiche foto ricordo e andare ad accarezzare i lama che
pascolano in una zona del sito.
Cosa dire di Machu
Picchu? È considerata una delle
meraviglie del mondo non a caso, uno di quei posti che ogni
viaggiatore dovrebbe visitare almeno una volta nella vita. La
sensazione che si prova corrisponde a una di quelle emozioni da
sindrome di Stendhal, a cui si somma la consapevolezza di camminare
su secoli di storia e una forte dose di vibrante energia che si
respira in alcune zone del sito (soprattutto il Tempio del Condor,
quello delle Tre Finestre e l'Intiwatana, la zona dell'orologio
solare).
È come uno se lo
aspetta: magnifico e imponente,
nonostante lo sciame di persone. Ti trovi a circa 2400-2500 metri
d'altezza, e le montagne creano un paesaggio spettacolare come pochi
altri al mondo; inoltre, la vegetazione è quasi quella della foresta
Amazzonica, perché ci si trova in quella che viene chiamata “ceja
de selva”, ossia il versante montuoso della foresta. E proprio la
foresta aveva inghiottito per circa quattrocento anni la cittadella,
dopo che venne abbandonata nel periodo della conquista spagnola, fino
al 1911 quando venne “scoperta” da uno studioso nordamericano,
Hiram Bingham; questo magnifico posto era stato quasi completamente
dimenticato, e solo pochissime persone erano a conoscenza della sua
esistenza e della sua ubicazione.
Il nome significa
Montagna Vecchia e a camminare per i suoi sentieri si respira l'amore
per la Madre Terra, la Pacha Mama, importantissima per il popolo
quechua.
Se si vuole si può
acquistare un biglietto che costa un po' di più e che permette di
salire al Wayna Picchu, la “Montagna giovane”, ossia l'altura che
si erge proprio di fronte alla spianata su cui si trova la
cittadella. Ci si arriva percorrendo per circa un'ora un sentiero e
dalla cima si può godere di una vista dettagliata e,
dall'alto, di tutto il complesso. Per
gli spilorci che invece non vogliono spendere più dei 128 soles di
ingresso (eccomi qua!) ma che non vogliono rinunciare a farsi
comunque una passeggiata (per modo di dire, dato che in alcuni punti
è piuttosto difficoltosa), dalla cittadella ci si può dirigere
verso la cosiddetta Porta del Sole, o Intipunku in quechua, ossia
l'ingresso megalitico che si trova a circa 50 minuti di cammino dal
centro del sito. Questa porta si trova al termine del Cammino Inca ed
era una sorta di punto di controllo prima dell'arrivo alla città. Si
trova a 2720 mslm e per arrivarci bisogna attraversare un sentiero
che in alcuni punti costeggia degli strapiombi impressionanti e che
regala il panorama forse più emozionante di tutta la zona.
Dopo aver percorso a
ritroso questa stradina mi sono concesso un'ultima passeggiata fra le
rovine, prima di intraprendere la discesa verso Aguas Calientes. Nel
bel mezzo del ritorno sono stato sorpreso dalla pioggia, che sapevo
sarebbe arrivata prima o poi, ma fortunatamente avevo con me un
“poncho” impermeabile; ma questo non è poi così interessante.
Prima di arrivare al
paesino, subito dopo aver attraversato il ponte sul fiume Urubamba,
si trova il Museo del sito, al quale si può accedere gratuitamente
con il biglietto per la cittadella, in cui si trovano alcuni dei
reperti archeologici trovati durante gli scavi.
Aguas Calientes, come già
ho accennato, vive di turismo e abbondano dunque le bancarelle nei
quali si vende artigianato, prodotti tipici e souvenir di qualsiasi
genere. Ovviamente essendo a ridosso dell'attrazione turistica più
visitata del Paese, i prezzi sono leggermente gonfiati.
Da Aguas Calientes ho
ripreso il treno per Ollantaytambo... (CONTINUA)
6 commenti:
ahn , alla fine tutto questo casino per un cumulo di rocce? :D
Bella pauz, vogliamo il continuo!
Come dice Felino: " per vedere pietre m'indi andu a s'attu" (trad. me ne vado in campagna)! Ahahaha
Bel reportage amico Pau!Scrivi la seconda parte che ci piaci!
wow! emozionante! dai...sforna il 2 capitolo :D
Bella Pau...
Sembra di essere stato là con te.... Complimenti...
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